mercoledì 11 giugno 2014

Roberto Bolano - 2666 (5)

ferrigno (20-11-2013)

Imperdonabile inefficacia
Ecco tutti i perché della mia delusione.
1. Disarticolato.
Cosa tiene insieme le parti del "romanzo"? I critici cercano Arcimboldi a Santa Teresa, Amalfitano vive a Santa Teresa, Fate va a Santa Teresa, gli Omicidi avvengono a Santa Teresa, Arcimboldi va a Santa Teresa.
All'editore di Bradbury non è mai passato per la testa di spacciare "Cronache Marziane" per romanzo, che pure è più romanzo di 2666.
2. Bidimensionale
I personaggi sono piatti. Scarsa introspezione, scarsa profondità, niente sviluppo. Dopo 800 pagine, non so nulla di Arcimboldi, non riesco a distinguere un critico dall'altro e non ricorderò mai nessuno di loro, con l'eccezione di Fate, forse.
3. Inconsistente
La scrittura di Bolaño si perde in mille rivoli di insignificanza. Il bambino che voleva essere alga, il pene del generale, i sogni dei personaggi: pagine di roba così assurda che ti dici "DEVE avere un significato!" e invece allungano il brodo e basta; e se anche vogliono dire qualcosa, è qualcosa di non fruibile per il lettore. Bolaño è un altro di quelli che dissemina il suo romanzo di metafore criptiche, e trova tanti lettori che se ne compiacciono adoranti.
4. Mono-tono
Niente ritmo. Ci sono cose che funzionano, in letteratura. Alternare dialoghi, azione, descrizioni e digressioni è una di queste. Roba che trovi in Sofocle, in Hugo, in Steinbeck. Il romanzo muore ogni volta che si vuole rifondarlo su basi inconsistenti. Il romanzo rivive ogni volta che si usano le vecchie regole per raccontare la contemporaneità. Cambia il racconto, non la grammatica.
5. Impegno inefficace
Scrivere un romanzo con l'idea di raccontare al mondo i femminicidi messicani è una cosa nobile e meritevole di attenzione. Farlo in modo inefficace è imperdonabile.

voto: 2/5

fonte: anobii

lunedì 9 giugno 2014

Carlo Emilio Gadda - Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (5)


ferrigno (giugno 2010- febbraio 2011)

So' appena sciuto, agghiummolato e abbacinato, ma pe' gnente allettato, dalla stolida computazione de' caratteri a stampa su carta - e pure cartaccia de stracci de quelli usati daa portinara de via Merulana (mannaggia a li morti de l'editore tirchio) - de mezzo Pasticciaccio der Gadda.
Mezzo: che ppe leggello tutto mi ce vulisse 'na fornitura de mafarde col rosbiffe: congrua e costante.
E ce vulisse pure un brain coach che co la stentorea boce del buce in fez me sbraitasse dinta n'orecchio: leggi! leggi! nun te fermà, a disgraziato! Leggi che c'hai davanti er capolavoro daa letteratura.

IL PERCHE' DEL VOTO
Il voto è 2 stelle. Visto che non sono un critico e non ho gli strumenti critici per un'analisi dettagliata, mi tocca puntualizzare che il voto è riferito alla mia capacità di lettore di GODERE di quest'opera.
Ebbene, la mia capacità di godere di quest'opera è NULLA. Ho letto 175 pagine di Pasticciaccio senza mai provare piacere. E visto che per me la lettura è PIACERE (non rilassamento: piacere), per me questo è un libro di merda.
L'uso del dialetto: non è quello. Il problema è quando Gadda NON USA il dialetto, perché passa ad un italiano paradossale e grottesco.
Mi sembrava inizialmente che il grottesco si accentuasse nei brani di critica al regime, e questo poteva starci. Ma proseguendo mi sono reso conto che il registro aulico-grottesco è usato in modo assolutamente indiscriminato e che fagocita tutte le 175 pagine che ho letto.

SULLA SPERIMENTAZIONE E LA NARRAZIONE
Potrei sbagliarmi, ma a me Gadda pare terribilmente compiaciuto. Gode oltremodo nell'usare parole inusitate, neologismi, arcaicismi, curiosità e stranezze. «Sul fatto che goda non hai le prove!». Forse no, però l'uso indiscriminato di un registro, senza apparenti motivi narrativi, mi sembra più che un indizio.
La storia passa in secondo piano. Invece, per me ROMANZO, è innanzitutto raccontare una storia. Sperimentazione: che sia, ma sempre al servizio della narrazione. Nel saggio sul New italian epic, wuming scrive che la sperimentazione dovrebbe essere INVISIBILE e finalizzata a uno scopo narrativo. In Manituana leggi "polvere di sangue" e non ti accorgi che è un'espressione priva di senso, perché UN SENSO LO COGLI. Inoltre, l'uso di questa sintassi "sperimentale" è contestualizzato e funzionale alla narrazione. "Polvere di sangue" potrebbe essere un'espressione usata da una persona turbata e confusa nel bel mezzo della battaglia.
Così non è nel pasticciaccio, dove invece la sperimentazione non è funzionale alla narrazione ma al gusto di Gadda (e secondo me al suo compiacimento).
Io, di queste 175 pagine di osannato pasticciaccio ho colto veramente poco, e quel poco a fatica e a costo di riletture, ri-riletture e uso intensivo del dizionario: uso frustrante, perché molte di quelle parole non ci sono neanche, sul dizionario.

AGGIORNAMENTO 15.6.2010
SULL'USO DEL LINGUAGGIO
Dai commenti al commento, evinco che da molti "difficile" è percepito come un valore letterario. Non sono d'accordo. Dalla mia tiro Borges, che rispetto a Gadda è esattamente speculare: mentre Gadda ricerca una lingua complicata (pantagruelica, bulimica) ricca di riferimenti oscuri, neologismi, arcaismi, per raccontare cose -tutto sommato- comuni (nella suburra ci hanno già portato in molti: Dickens tra tutti, che di vecchie sdentate ne ha ritratte a iosa), Borges affina la lingua fino a renderla limpida come cristallo, e la usa come mezzo per veicolare contenuti strabilianti. Parafrasando Morgan, se "Finzioni" e "L'Aleph" non esistessero, sarebbe difficile immaginarli. (Al contrario, se ripuliamo il Pasticciaccio dei tic linguistici, resta una storia non memorabile).
Borges diceva che uno scrittore, nello scegliere tra due termini equivalenti, dovrebbe SEMPRE usare quello più comune. Perché? Perché usare quello meno comune è sempre antieconomico per il lettore e a volte antiestetico.
Tra i due approcci preferisco quello di Borges, per motivi etici, perché Il Pasticciaccio mi sembra un pelo misogeno. E anche per motivi estetici, sicuro. Certo, c'è chi all'apollineo preferisce il dionisiaco e Gadda del dionisiaco è un campione: io preferisco l'apollineo. Ma per favore, non mi si dica che la mia è un'opinione personale mentre quella dei gaddiani una profonda analisi critica.

Aggiornamento febbraio 2011
Da "Di qua dal faro" di V. Consolo:
"Ad un letteratino che manifestava antipatia nei confronti del romanzo poliziesco, per la mancanza di scrittura, diceva, o meglio per la presenza di una scrittura funzionale che questo genere letterario ha di solito, per il prevalere in esso del contenuto sulla forma, della comunicazione sull'espressione, per il suo meccanico ingranaggio che lascia fuori la poesia, Leonardo Sciascia, sorridendo di un sorriso tra l'enigmatico e il divertito, cercava di far capire che il romanzo poliziesco è importante, a volte necessario, e pazienza se risulta privo di forma e carente di poesia (peggio per la forma e peggio per la poesia, avrebbe detto). [...]
Capì allora il giovane letterato che cosa nascondeva il sorriso di Sciascia, capì cos'era per lo scrittore il racconto poliziesco: uno strumento-il più opportuno e il più valido, il più robusto e più appuntito, il più lucido senz'altro- per affrontare la realtà, la oscura, terribile realtà siciliana. [...]
Lo scrittore si calava con la sua lampada da minatore nei sotterranei del potere e, illuminando, ecco che si aprivano allo sguardo, si scoprivano nuove, occulte gallerie, insondabili, paurosi meandri. I suoi polizieschi non erano dunque che amare e dolorose metafore della realtà politica italiana."
Ovvero: per alcuni la scrittura è un faro che fa luce su una realtà oscura, per altri... no.

voto: 2/5

fonte: anobii

sabato 7 giugno 2014

Robert Musil - L'uomo senza qualità (2)

ferrigno (25-05-2012)

Scemo chi legge
Ero preparato a un romanzo ambientato nella testa del protagonista. Ma ecco quello a cui non ero preparato: l'autore è convinto che i pensieri siano inesprimibili.
Fate mente locale:
1) il romanzo gira quasi tutto attorno ai pensieri di Ulrich
2) Musil crede che i pensieri siano inesprimibili
1 + 1 = non si capisce un cazzo per circa 1200 pagine, 1700 se avete l'edizione completa.
Inoltre, qua e là traspare che per alcuni personaggi e probabilmente anche per l'autore, la comprensione sia una "violenta e fredda presa di possesso del reale" e che "metta in fuga la gioia che è nelle cose".
Per come la vedo io, è vero il contrario: la comprensione METTE gioia nelle cose.
In molti hanno scritto, quasi a giustificare Musil: "ma la realtà è complessa". Ok, ma il problema è che Musil assimila il racconto alla realtà. Posso accettare che Agathe sia irrazionale o che Ulrich non abbia fiducia nel progresso o nella trasposizione chiara e fedele dei pensieri più intimi. Posso accettarlo. Pensieri profondi di tal fatta albergano nelle menti di molti, me compreso, quando non avevo problemi più seri.
Quello che non accetto è che tutto il romanzo sia pervaso da questa sfiducia, tanto che la sfiducia stessa risulti impossibile da raccontare. Così finisce che NIENTE è raccontabile!
Con qualche eccezione. Gli affari, il commercio, la vita reale. Quando Ulrich parla con il Generale Stunn è chiarissimo. Fieschel il banchiere è chiarissimo. Il Conte Leinsdorf, pragmatico organizzatore dell'Azione Parallela, è chiarissimo. Ma si tratta di frammenti.
Il problema è che Musil indulge troppo su ciò di cui non si deve parlare. Tanto che alla fine, il senso del "romanzo" sembra essere:
"Scemo chi legge!"
Quindi non è semplicemente che USQ non mi piaccia: in effetti più che altro lo odio. Sono radicalmente contrario alla poetica che sta dietro questo modo di scrivere.
Cosa posso farci? Riporto spesso questo esempio e continuerò a farlo: anche Borges racconta cose impossibili a dirsi, di inarrivabile complessità, ma lo fa con una chiarezza adamantina. Come a dire: «Datemi pure dello scemo, ma io ci provo e ce la metto tutta!».
Musil invece rinuncia e su questa rinuncia costruisce un romanzo di 1000 pagine più 700 pagine di frammenti e scemo chi lo legge. Mapperfavore.

voto: 2/5

fonte: anobii

venerdì 6 giugno 2014

J.G. Ballard - Il condominio

ferrigno (04-05-2009)

Questo romanzo è inverosimile.
È inverosimile che degli appartenenti all'upper class vadano ad abitare in un mega condominio-casermone.
È inverosimile che in un casermone di 2000 abitanti nessuno -NESSUNO!- denunci il primo omicidio e tutti quelli che seguono
È inverosimile che tutti accettino il disfacimento del casermone, è inverosimile che a pochi mesi dall'acquisto nessuno chiami un'elettricista venendo a mancare la luce ad un intero piano.
È inverosimile che uno che ha passato tutta la notte in un casermone senza né cibo né acqua né luce, assassinando i vicini e sbranando carne di cane e non lavandosi per settimane, vada a lavoro al mattino e I SUOI COLLEGHI NON SI ACCORGANO DI NULLA.
È inverosimile che parti del casermone vadano a fuoco e nessuno, fuori dal casermone, si accorga di nulla.
E così via, all'infinito.
Accettate come assiomi tutte queste inverosimiglianze, il romanzo incuriosisce e si fa leggere.
Tuttavia, a mio parere ha un grosso difetto: è troppo raccontato e spiegato. Il carattere dei personaggi si rivela non attraverso le loro azioni ma soprattutto nelle spiegazioni dell'autore.

voto: 2/5

fonte: anobii

giovedì 5 giugno 2014

Roberto Bolano - 2666 (4)

Alessio (13-04-2014)

Non ho dato un voto perché non mi sento in grado di dare una valutazione oggettiva. Comunque è uno dei libri più pallosi e inconcludenti della storia della letteratura.
Bolaño è evidentemente un poeta e cerca di trasferire la capacità evocativa della poesia nella forma romanzo. Benché lo sforzo sia encomiabile e il risultato artistico sia altissimo, l’effetto sul lettore è discutibile. La sensazione generale è quella di essere presi per il culo: nessuna delle cinque parti si conclude e l’ambiente che viene descritto è tremendamente depressivo.
Nell’integrazione delle funzioni poetiche all’interno della forma romanzo si tradisce infatti la missione consolatoria sia del romanzo che della poesia.
Una narrazione canonica – incipit, svolgimento, conclusione – rimette ordine rispetto alla realtà, consolando il lettore smarrito di fronte alle disarmonie del reale. Se la realtà è priva di logica, almeno il romanzo è un costrutto con una ratio identificabile e questo ci rassicura. Dall’altro lato, una poesia in forma canonica ha la capacità di andare oltre la logica per generare un livello più alto di armonia, e anche questo è rassicurante. Ma rintracciare l’ armonia oltre-logica all’interno di un romanzo poetico è uno sforzo decisamente poco consolatorio per noi lettori della domenica.
Un libro da leggere se siete dei critici letterati, o semplicemente dei pervertiti a cui piace gingillarsi con l’angoscia. Se siete gente normale come chi vi scrive risparmiatevelo pure. Per dirla con Kevin Spacey in House of Cards: “C’è un dolore che fortifica e un altro tipo di dolore, inutile. Io non posso sopportare le cose inutili”.

voto: s.v.

fonte: anobii

martedì 3 giugno 2014

Agota Kristof - Trilogia della città di K. (7)

claudia (28-09-2009)

Libro freddo, artificioso e troppo calcatamente nichilista. Alcuni passaggi si lasciano apprezzare per lo stile, ma il testo, nel complesso, non emoziona nè suscita interesse. Francamente disgustosa è poi la strisciante misoginia che permea ogni pagina. Una scrittrice di QUALCHE talento, che purtroppo della vita coglie solo la superficie. Tralatro in maniera distorta.

Voto: 1 / 5

fonte: ibs

lunedì 2 giugno 2014

J.D. Salinger - Il giovane Holden (6)

antorizz (14-01-2010)

In assoluto il libro più sopravvalutato della storia della letteratura... traborda di snobbismo americano dalla prima all'ultima pagina, non c'è luce, non c'è poesia solo il sapore di plastica rancida che ti ritrovi in bocca dopo aver vomitato e letto questo libro... Questo signore ha fatto bene a rifugiarsi come un eremita almeno per rispetto di quei poeti e geni che hanno fatto la storia della letteratura americana, Miller, Keruac, Burroghs, Fante.....mica questo cialtrone.

Voto: 1 / 5

fonte: ibs