lunedì 9 giugno 2014

Carlo Emilio Gadda - Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (5)


ferrigno (giugno 2010- febbraio 2011)

So' appena sciuto, agghiummolato e abbacinato, ma pe' gnente allettato, dalla stolida computazione de' caratteri a stampa su carta - e pure cartaccia de stracci de quelli usati daa portinara de via Merulana (mannaggia a li morti de l'editore tirchio) - de mezzo Pasticciaccio der Gadda.
Mezzo: che ppe leggello tutto mi ce vulisse 'na fornitura de mafarde col rosbiffe: congrua e costante.
E ce vulisse pure un brain coach che co la stentorea boce del buce in fez me sbraitasse dinta n'orecchio: leggi! leggi! nun te fermà, a disgraziato! Leggi che c'hai davanti er capolavoro daa letteratura.

IL PERCHE' DEL VOTO
Il voto è 2 stelle. Visto che non sono un critico e non ho gli strumenti critici per un'analisi dettagliata, mi tocca puntualizzare che il voto è riferito alla mia capacità di lettore di GODERE di quest'opera.
Ebbene, la mia capacità di godere di quest'opera è NULLA. Ho letto 175 pagine di Pasticciaccio senza mai provare piacere. E visto che per me la lettura è PIACERE (non rilassamento: piacere), per me questo è un libro di merda.
L'uso del dialetto: non è quello. Il problema è quando Gadda NON USA il dialetto, perché passa ad un italiano paradossale e grottesco.
Mi sembrava inizialmente che il grottesco si accentuasse nei brani di critica al regime, e questo poteva starci. Ma proseguendo mi sono reso conto che il registro aulico-grottesco è usato in modo assolutamente indiscriminato e che fagocita tutte le 175 pagine che ho letto.

SULLA SPERIMENTAZIONE E LA NARRAZIONE
Potrei sbagliarmi, ma a me Gadda pare terribilmente compiaciuto. Gode oltremodo nell'usare parole inusitate, neologismi, arcaicismi, curiosità e stranezze. «Sul fatto che goda non hai le prove!». Forse no, però l'uso indiscriminato di un registro, senza apparenti motivi narrativi, mi sembra più che un indizio.
La storia passa in secondo piano. Invece, per me ROMANZO, è innanzitutto raccontare una storia. Sperimentazione: che sia, ma sempre al servizio della narrazione. Nel saggio sul New italian epic, wuming scrive che la sperimentazione dovrebbe essere INVISIBILE e finalizzata a uno scopo narrativo. In Manituana leggi "polvere di sangue" e non ti accorgi che è un'espressione priva di senso, perché UN SENSO LO COGLI. Inoltre, l'uso di questa sintassi "sperimentale" è contestualizzato e funzionale alla narrazione. "Polvere di sangue" potrebbe essere un'espressione usata da una persona turbata e confusa nel bel mezzo della battaglia.
Così non è nel pasticciaccio, dove invece la sperimentazione non è funzionale alla narrazione ma al gusto di Gadda (e secondo me al suo compiacimento).
Io, di queste 175 pagine di osannato pasticciaccio ho colto veramente poco, e quel poco a fatica e a costo di riletture, ri-riletture e uso intensivo del dizionario: uso frustrante, perché molte di quelle parole non ci sono neanche, sul dizionario.

AGGIORNAMENTO 15.6.2010
SULL'USO DEL LINGUAGGIO
Dai commenti al commento, evinco che da molti "difficile" è percepito come un valore letterario. Non sono d'accordo. Dalla mia tiro Borges, che rispetto a Gadda è esattamente speculare: mentre Gadda ricerca una lingua complicata (pantagruelica, bulimica) ricca di riferimenti oscuri, neologismi, arcaismi, per raccontare cose -tutto sommato- comuni (nella suburra ci hanno già portato in molti: Dickens tra tutti, che di vecchie sdentate ne ha ritratte a iosa), Borges affina la lingua fino a renderla limpida come cristallo, e la usa come mezzo per veicolare contenuti strabilianti. Parafrasando Morgan, se "Finzioni" e "L'Aleph" non esistessero, sarebbe difficile immaginarli. (Al contrario, se ripuliamo il Pasticciaccio dei tic linguistici, resta una storia non memorabile).
Borges diceva che uno scrittore, nello scegliere tra due termini equivalenti, dovrebbe SEMPRE usare quello più comune. Perché? Perché usare quello meno comune è sempre antieconomico per il lettore e a volte antiestetico.
Tra i due approcci preferisco quello di Borges, per motivi etici, perché Il Pasticciaccio mi sembra un pelo misogeno. E anche per motivi estetici, sicuro. Certo, c'è chi all'apollineo preferisce il dionisiaco e Gadda del dionisiaco è un campione: io preferisco l'apollineo. Ma per favore, non mi si dica che la mia è un'opinione personale mentre quella dei gaddiani una profonda analisi critica.

Aggiornamento febbraio 2011
Da "Di qua dal faro" di V. Consolo:
"Ad un letteratino che manifestava antipatia nei confronti del romanzo poliziesco, per la mancanza di scrittura, diceva, o meglio per la presenza di una scrittura funzionale che questo genere letterario ha di solito, per il prevalere in esso del contenuto sulla forma, della comunicazione sull'espressione, per il suo meccanico ingranaggio che lascia fuori la poesia, Leonardo Sciascia, sorridendo di un sorriso tra l'enigmatico e il divertito, cercava di far capire che il romanzo poliziesco è importante, a volte necessario, e pazienza se risulta privo di forma e carente di poesia (peggio per la forma e peggio per la poesia, avrebbe detto). [...]
Capì allora il giovane letterato che cosa nascondeva il sorriso di Sciascia, capì cos'era per lo scrittore il racconto poliziesco: uno strumento-il più opportuno e il più valido, il più robusto e più appuntito, il più lucido senz'altro- per affrontare la realtà, la oscura, terribile realtà siciliana. [...]
Lo scrittore si calava con la sua lampada da minatore nei sotterranei del potere e, illuminando, ecco che si aprivano allo sguardo, si scoprivano nuove, occulte gallerie, insondabili, paurosi meandri. I suoi polizieschi non erano dunque che amare e dolorose metafore della realtà politica italiana."
Ovvero: per alcuni la scrittura è un faro che fa luce su una realtà oscura, per altri... no.

voto: 2/5

fonte: anobii