giovedì 5 giugno 2014

Roberto Bolano - 2666 (4)

Alessio (13-04-2014)

Non ho dato un voto perché non mi sento in grado di dare una valutazione oggettiva. Comunque è uno dei libri più pallosi e inconcludenti della storia della letteratura.
Bolaño è evidentemente un poeta e cerca di trasferire la capacità evocativa della poesia nella forma romanzo. Benché lo sforzo sia encomiabile e il risultato artistico sia altissimo, l’effetto sul lettore è discutibile. La sensazione generale è quella di essere presi per il culo: nessuna delle cinque parti si conclude e l’ambiente che viene descritto è tremendamente depressivo.
Nell’integrazione delle funzioni poetiche all’interno della forma romanzo si tradisce infatti la missione consolatoria sia del romanzo che della poesia.
Una narrazione canonica – incipit, svolgimento, conclusione – rimette ordine rispetto alla realtà, consolando il lettore smarrito di fronte alle disarmonie del reale. Se la realtà è priva di logica, almeno il romanzo è un costrutto con una ratio identificabile e questo ci rassicura. Dall’altro lato, una poesia in forma canonica ha la capacità di andare oltre la logica per generare un livello più alto di armonia, e anche questo è rassicurante. Ma rintracciare l’ armonia oltre-logica all’interno di un romanzo poetico è uno sforzo decisamente poco consolatorio per noi lettori della domenica.
Un libro da leggere se siete dei critici letterati, o semplicemente dei pervertiti a cui piace gingillarsi con l’angoscia. Se siete gente normale come chi vi scrive risparmiatevelo pure. Per dirla con Kevin Spacey in House of Cards: “C’è un dolore che fortifica e un altro tipo di dolore, inutile. Io non posso sopportare le cose inutili”.

voto: s.v.

fonte: anobii