giovedì 22 maggio 2014

Winfried G. Sebald - Austerlitz (2)

Monsa (19-01-2014)

Il capolavoro è brutto e c'è poco da fare. In sè la storia narrata da Sebald sarebbe anche interessante: il vecchio professore Jacques Austerlitz, appreso di essere stato adottato da una famiglia inglese nel 1939, va alla ricerca delle sue radici muovendosi tra Praga e Parigi. Troverà poco e niente perchè l'olocausto ha spazzato via la sua come quella di milioni di altre famiglie ebree. Lo stile di Sebald è, però, troppo analitico, pedante e prolisso per lasciare vero spazio alla vicenda. Il lettore si perde dietro paragrafi che sono solo raffinati elenchi di cose e/o oggetti perduti ma niente emoziona o appassiona sul serio. E' un vizio tutto tedesco – Thomas Mann è riuscito a rovinare la "sua" morte a Venezia – quello di interpolare il testo con delle colte digressioni ma, in questo modo, l'unica cosa che si ricorda è il narcisismo dell'autore: alla sua smisurata cultura si plaude un po' inebetiti ma, nella realtà dei fatti, non si impara niente e si perde di vista il filo della storia. Se fosse stato lungo quarantacinque pagine questo racconto sarebbe stato un capolavoro, o quasi. La ricerca delle radici inizia, invece, solo a pagina 150 e si trascina fino a pagina 315 con dottissime dissertazioni di architettura civile e militare che rimandano alle parti peggiori del Viaggio in Italia di Guido Ceronetti. Allungato come il brodo di tacchina che ti servono al ristorante il 27 di dicembre pochi libri, come Austerlitz, confermano i miei dubbi in merito alla sopravvenuta morte della letteratura d'autore.

voto: 2/5

fonte: anobii