lunedì 3 ottobre 2011

Franz Kafka - Il Processo (5)

Yupa scritto il Jul 5, 2011

Suo malgrado (forse), Franz K. è riuscito a dimostrare che la biografia non fa lo scrittore. La biografia non basta.
Non basta la tubercolosi, non basta lo sfacelo interiore, non basta il "gigantesco senso di colpa" su cui Franz K. si diffonde nella Lettera al padre. Non basta una vita alla rovina per produrre quella strana cosa chiamata arte. Altrimenti il Mondo di arte ne sarebbe pieno, cosa che mi pare non sia.
È un problema, forse, per il Mondo, più facilmente lo è per quei disperati che pur volendo non riescono a dar forma alla disperazione loro; cosa che, se riuscisse, fungerebbe almeno da lenitivo, per quanto forse provvisorio o posticcio (a testimoniarlo la sequela, non breve, degli scrittori suicidi).
La disperazione divora sé stessa, disarticola l'urlo che vorrebbe esprimerla e, nei casi più acuti, lo soffoca, lo riduce a goffo brontolìo di fondo, incomprensibile e ininteressante ai più.

I testi di Franz K., esclusi le raccolte dei racconti, rimangono cantieri aperti, incompleti: così per America, così per il Processo, così per il Castello.
Cantieri aperti dai piloni appena gettati, fondamentate tentate, cumuli di mattoni a formare incerti abbozzi di muri, sempre lì lì per cadere.
Un cantiere può interessare l'ingegnere e l'architetto che voglia indagarne le tecniche di costruzione, ma le messe in opera kafkiane rivelano in ciò che resta unicamente l'inconclusività a cui già erano condannate: chiarissimi in tal senso gli ultimi capitoli del Castello, che vanno ad attorcigliarsi con pena e fatica senza sbocco alcuno in vista.

Una casa allo stato di cantiere difficilmente potrà essere considerata abitabile dai più.
E il lettore, ne fosse pure inconsapevole, è esigente e cinico, egoista. Anche chi non brama il salotto coi merletti o una tavolata imbandita di delizie, richiede comunque mura e tetti privi di buchi, una cucina funzionante, un minimo di servizî igenici. E una volta ottenuta la soddisfazione, quanti riflettono sui lavoranti cascati dalle impalcature per ottenerla? sui suicidî seguiti alle indagini per corruzione edilizia?

I romanzi di Franz K. sono cantieri inconclusi messi in opera da un architetto che -suo malgrado- non riesce a tollerare il conforto di una casa completa, abitabile, una casa nelle cui mura ben fatte siano resi invisibili, cancellati, il sudore e il sangue di chi quelle mura le ha sollevate; se non come vezzo postmoderno: ma mattoni e tubature lasciati in mostra sono là a bella posta, ovvero sono finzione.
Dai romanzi possiamo quindi desiderare e accettare la finzione del dolore, della disperazione, di vite alla rovina o di chi tali cose è riuscito a trasformare in finzione, in forma, in recita. Persino le rotture di avanguardie e sperimentali hanno le loro regole da seguire, o da violare. Condoniamo i film dell'orrore più estremo, ma chi cerchi in rete filmati di torture lo riteniamo mostro.
Il dolore, la disperazione, la rovina, in Franz K., rimangono troppo, massicciamente vere, e finiscono per spezzare in anticipo qualunque tentativo di formare alcunché, sia persino una forma paradossalmente deforme.
Resta solo il niente.
Le sue opere incontrano già nel tentativo di nascere la propria sconfitta, deragliano e si perdono, e alla fine non resta loro che esibire il proprio fallimento, rinchiudendosi nel silenzio.

Per quanto amaro viene persino da pensare: forse aveva ragione, Franz K., richiedendo, una volta scomparso, il rogo di tutti i suoi scritti.


http://www.anobii.com/books/Il_processo/9788804307686/01a5a25010b24fede0/?comment=1&sort=6&page=3

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