RickyMos scritto il Dec 27, 2008
Bisognerebbe impedire agli scrittori esordienti (ma anche a quelli al secondo romanzo) di scrivere romanzi superiori alle pochissime centinaia di pagine (due o tre).
Questo perché, anche nel caso di grandi menti come Thomas Mann, le esperienze di vita non sono sufficienti - soprattutto se uno si chiude in casa per fare lo scrittore - e si continua a ripetere per capitoli e capitoli un concetto che è chiaro già a pagina dieci.
I "Buddenbrook", terminato dal tedesco a 25 anni, contiene già i temi fondamentali della poetica di Mann: il confronto fra i "Vincenti" e i "Perdenti" di questo mondo, l'impossibilità per le due fazioni di comunicare, l'insita superiorità morale dei secondi.
Peccato che questo concetto, in questo volume prematuro, sia allungato come il pernod di un ubriaco e porti il lettore allo sfinimento.
Devo confessare che questa sterile e continua contrapposizione, oserei dire infantile, fra la "massa" e l'"intellettuale", la ritrovo in quasi tutti i volumi di Mann, i cui personaggi rimangono chiusi nelle loro gabbie e non crescono mai, né agiscono davvero.
Ma i "Buddenbrook", a differenza del "Tristano" o del "Tonio Kroeger", ha il difetto di allungare questo insipido brodo in maniera tanto ben scritta quanto inutile da leggere, se non per ribadire a se stessi cosa non interessa dalla letteratura.
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